Le mode sono riciclabili, tornano sempre. La vita alta, il
pied de poule, la jumpsuit, riusciamo a resuscitare quasi tutto, anche quello
che davvero dovremmo lasciar morire inghiottito dall’oblio del passato. Un
esempio a caso: la collana di plastica Choker effetto tattoo passione proibita
e trasgressiva delle teenager anni 90 oltre che gadget ricercatissimo, artefice
della fortuna di riviste quali Cioè e Top Girl ora must per fashion blogger
affermate che hanno il buon gusto e il coraggio di abbinarla ad una Birkin e un
vestitino di Balmain.
Poi ci sono quelle cose che non tornano, perché non passano
mai di moda, ma cambiano nome, quello si. Alla domanda triste ma
inflazionatissima quali sono i tuoi hobby, le tue passioni, prima, tutti avremmo risposto: “uscire con i
miei amici, leggere” per i più colti e poi “VIAGGIARE.” Ecco questa risposta
qui non ha mai visto declino, non è mai stata surclassata da altre varianti più
creative e coraggiose perché nessuno si sognerebbe mai di non amare viaggiare,
e di non farne una qualità apprezzabile e spendibile solo che ora si utilizza
la parola WANDERLUST.
Wanderlust significa alla lettera desiderio di viaggiare,
di fare di nuove esperienze, vedere nuovi posti e vivere la libertà e
l'emozione di essere stranieri. Wanderlust è uno stile di vita, è
quell’inclinazione alla fuga che ti riempie e sembra renderti degno agli occhi
degli altri e anche ai tuoi quando alla fine della giornata tiri le somme e fai
il bilancio di come hai speso il tuo tempo.
Viaggiare sembra sempre una cosa fica, se uno vi dicesse di
aver pregato chissà quale divinità in un tempio shintoista di Nagoya, di aver
cantato the Scientist insieme a Chris Martin al Green Point Stadium di Cape
Town, dormito in un appartamento impregnato di puzza di curry e spezie a
Bethnal Green, incontrato l’amore di un’ora in un club di Ibiza, bevuto
champagne ad un gala dinner del Four Seasons di Santa Barbara, vinto una gara
di go kart su una pista di Cape Canaveral e bevuto mate a Santiago del Cile in
casa di un’argentina di Mendoza voi cosa direste? Che fico! Ovviamente.
E invece no! Cioè non è detto che fai tutte queste cose per
il motivo giusto. E non parlo del bisogno di evasione, della fuga dalla realtà
quella è l’essenza della partenza e del viaggio, parlo di chi oltrepassa i limiti
solo per raccontarlo, di chi pensa al premio, al raggiungimento di una meta che
può essere un post su un blog, uno spunto per un articolo, un bel raccontino
per svoltare una serata con una donna.
Certe cose la gente le fa solo per raccontarle, per spuntare
un riga dalla lista, per assemblare il profilo della vita perfetta e della persona
interessante, pochi sanno ancora perdersi, godersi il senso e la pienezza di un
attimo che ha la sua ragion d’essere nel suo esaurimento. I viaggi dovrebbero
essere senza memoria e senza album su Facebook, dovrebbero essere una scoperta
e mai una conquista, un’occasione, un’ascia per il mare ghiacciato che abbiamo
dentro, un casino e non l’episodio incorniciato da riportare a casa. Un viaggio
deve essere un rischio e deve essere onesto, come la vita e come quella deve
essere solo tuo.
"Not all those who wander are lost"
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