Quanti
di voi nell’ultima settimana si sono trovati la bacheca intasata di video di
ubriaconi da medaglia d’oro? Ve lo dico io tanti. Quanti sanno cosa stanno
facendo? Mi spiego: quanti saprebbero googlare qualcosa di sensato che non
fosse video alcolico o parole che nella loro originaria natura semantica non
hanno nulla a che vedere con il drinking game in questione come “ringrazio per
la nomination…” ottenendo come risultato una foto di Renzi con la sua
supersquadra di governo? Ve lo dico
sempre io, pochi.
E ne
sono certa perché di cortometraggi da autore con protagonisti boccali, pinte,
shot, mix micidiali di veleni, dentifricio, cibo scaduto con una spruzzata di
vodka e gin ne ho visti parecchi, di hashtag quasi nessuno. E noi, generazione
figlia di instagram e twitter, potremmo mai risparmiarci un cancelletto
sputtanato solo per guadagnare dignità e autonomia intellettuale? NO. Ne deduco
che voi, come la me di dieci minuti fa, non abbiate idea di come taggare il
vostro ultimissimo passatempo con la controindicazione del coma etilico, ma
anche questo ve lo dico io: l’hashtag
che cercate è Neknominate.
Nasce
in Australia già nel 2013, anche se il video madre sembrerebbe essere il
riuscito esperimento di un giocatore di Rugby del London Irish, Ross Samson. Il
drinking game ha, poi, rapidamente
contagiato Usa e Europa per approdare, col dovuto ritardo, anche da noi,
attecchendo in principio nella nordica Milano: che si sa ha un altro passo.
Per
chi avesse avuto la fortuna di non dover subire immagini in cui amici, più o
meno stretti, sembravano essere gli attori di uno spot terroristico distribuito
dall’alcolisti anonimi, provvederò a descrivervi il drinking game della
stagione nelle sue fasi principali:
Un
ragazzo/a apparentemente normale, quindi senza manifesti desideri di perverso
protagonismo, condividerà un video, sul suo social network preferito, in cui
ripete la formula ormai catartica che include ringraziamento del precedente
attore della catena e accettazione della sfida. Lui o lei, poi, provvederà a
scolarsi in un unico sorso un quantitativo di alcool variabile, ciò significa
che possiamo passare con noncuranza dallo shot dei più timidi al mezzo litro di
Absolut dei veri professionisti. Seguono, in ultimo, nomination, in origine due
ora generalmente tre, che istigheranno i malcapitati di turno a superare in
cazzataggine chi li ha preceduti e alzare il livello della prestazione.
L’escalation
innescata ha prodotto risultati inaspettati, giovani di tutte le nazioni hanno
liberato la loro immaginazione inondando il web di prestazioni da guinnes della
deficienza: c’è chi beve da un cono da cantiere, chi da una canna dell’acqua
fatta passare fra gli slip di una ragazza, chi addirittura dalla tazza del
water. Ma chi siamo noi per giudicare ? Chi siamo per bollare l’esuberanza
giovanile seguendo vecchie e monolitiche categorie di moralità? Nessuno, non
fosse per quel piccolo dettaglio delle 5 morti attribuibili al Neknominate
neanche staremmo qui a parlarne.
La
stampa inglese scrive di 5 morti e il GLA, cioè la voce dei governi locali inglesi,
se la prende con il web e con faccialibro sopra a tutti. La cura per questo
nuovo morbo sembrerebbe essere la censura. Genitori pietrificati dalla
degenerazione della loro progenie pregano Mark di oscurare le immagini,
staccare la spina per salvare gli incoscienti. Ma Facebook dice e no e il virus
si espande, mangia le distanze, diventa globale, incanta generazioni per
anagrafica più vicine a Peppa pig che all’evasione regalata da una bottiglia di
alcool e non si arresta.
Vivere
in un mondo mediato dai supporti informatici, dalle piattaforme e dai social ci
ha incastrato in una logica schiacciante per cui il fuso del circuito
multimediale è la matrice originaria di tutti i mali del mondo, come il
dispensatore di ogni bene. Perché prendersela con Zuckerberg ? Perché il web e
l’informazione libera non possono essere lo specchio fedele di questo mondo ?
perché dobbiamo arrogarci il diritto di formare invece che informare ? Perché
la pedagogia e la morale non la lasciamo alla scuola, alla famiglia ?
Perché
non chiedersi il motivo vero per cui un ventenne si spinge così oltre il limite
da perdere la vita ? Perché non parliamo di questo invece di staccare o meno la
spina della libertà d’espressione ?